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RECENSIONI

Le pietre degli inganni di Milli Toja e l'idea di comunità femminile

Scritto da Donatella Massara

Milli Toja ha prodotto, scritto e diretto un nuovo film. "Le pietre degli inganni", il terzo, dedicato alla saga delle pietre. Ognuno di questi film sono  un'impresa grande e interessante, oltre che eccitante per le partecipanti, che non finirò mai di ammirare e che, questa volta, ha avuto anche me fra le interpreti. Mi ritrovo a essere dentro allo schermo invece che fuori e a fare una certa fatica a uscirne. Per fortuna mi è d'aiuto il desiderio di riconoscere a questa piccola cosa tutta la sua grandezza. So un modo per farlo, è crearle un contesto, non lasciarla da sola e metterla invece in comunicazione con altre pellicole che, in qualche modo, le assomigliano. Le donne, in diversi periodi, hanno prodotto film indipendenti, e con il sostegno di altre hanno voluto raccontare in storie più o meno fantasiose o realiste le vicende delle comunità femminili.


Dicevo che, questa volta, sono fra le interpreti di "Le pietre degli inganni" - sono Giada la guardiana delle pietre -. Allora, con tutto il potere che mi è stato conferito, vorrei qui all'istante organizzare la rassegna di film che ha titolo “Le comunità femminili attraverso l'immaginario delle registe”. Inviterò la visionaria Ulrike Ottinger. Nel 1977 in "Madame X an absolute ruler" raccontò la storia surreale di androgini e di strane creature, le pirate dai costumi fantastici chiamate a imbarcarsi sulla nave delle donne di Madame X. Un film diretto, costruito e interpretato solo da donne, gli unici uomini sono i tecnici della mdp. Le avvicinerò la realista Rose Troche che, più di recente, scrivendo con Guinevere Turner la sceneggiatura di "Go Fish", ha raccontato la comunità lesbica di Chicago. Un film prodotto da Cristine Vauchon, nota per le sue scelte coraggiose a favore della cultura lesbica, testimone la produzione del bellissimo, struggente e purtroppo biografico "Boys don't cry". Milli Toja siederà di fianco alla canadese Cynthia Scott che nel 1990 ha diretto In compagnia di signore per bene, cast tutto femminile, musica di una donna, soggetto e sceneggiatura della regista, scritto con altre due che sono anche produttrici e aiuto regista, più un uomo, per raccontare la gita di un gruppo di settantenni a bordo di uno scassato pullman guidato da una più giovane, le attrici non sono professioniste e interpretano se stesse con il loro nome. Un film straordinario. Quindi ricorderei in una retrospettiva Leontine Sagan che girò nel 1939 quel film eccezionale, "Ragazze in uniforme", altra storia lesbica interamente costruita su un cast di donne, scritta da Christa Winsloe e ambientata nella comunità femminile di un collegio. Dorothy Arzner pure lei girò un film sul collegio femminile, "The wild Party" del 1929, alludendo alle relazioni erotiche fra le ragazze, ben nascoste dentro a un plot hollywoodiano che non era per niente omosessuale. Fra le contemporanee inviterei Lea Pool, che ha girato nel 2000 "L'altrafaccia dell'amore" con una storia d'amore fra due ragazze, ambientata in un collegio femminile e Patricia Mazuy per "Saint Cyr" dove, cambiata l'epoca, guardiamo alla comunità femminile del collegio voluto da Madame de Maintenon, moglie del Re Sole, per accogliere le nobili impoverite dalle guerre di religione. Nella cornice severa del collegio le giovani raggiungono sempre l'età adulta attraverso i conflitti, gli amori, le disparità di desiderio fra le compagne. Anche se è stato diretto da un uomo ricorderò, in questa occasione di incontro, "Nella città l'inferno" sulla comunità femminile delle carceri, tratto dal romanzo di Milli Dandolo dove le interpreti sono, a parte pochi minuti di comparsa degli uomini, donne e, fra le tante, emergono per bravura Anna Magnani e Giulietta Masina. Il film citato mi servirà per presentare Caterina Gerardi che ha girato Nella casa di Borgo San Nicola, un documentario sulle donne che condividono il carcere speciale di Lecce e che ha vinto il primo premio per la sezione Documenti del 1° Concorso internazionale "Esperienze di libertà femminile", organizzato nel 2008 da Milli Toja, Giovanna Foglia, Fiorella Cagnoni e me con il supporto del "Trust. Nel nome della donna". Per chiudere l'incontro chiamerò due giovani registe che hanno lavorato sulle comunità femminili dei conventi: Alina Marazzi che gira nel 2005 Per sempre sulle monache dei conventi di clausura e Ilenia Maccagni che gira nel 2004 Anime divise in due.


Le comunità femminili sono differenti, ci sono quelle occasionali, come nel film di Cynthia Scott, ma che hanno una forte carica simbolica, poi ci sono quelle durature, quelle istituite come i conventi, quelle coatte come le carceri, quelle che nascono nei rapporti sociali come le comuni e infine ci sono quelle che assimilano tutto ciò che la storia ha messo in campo e lo traducono in una scena immaginaria come ha fatto Ulrike Ottinger e continua a fare Milli Toja. Penso che quando una regista guarda la comunità femminile si stia concentrando su qualcosa che la coinvolge. E' per questo slancio che viene ribaltato lo schema classico con cui si fanno i film con un o una protagonista al centro della scena verso cui convergono gli sguardi del pubblico. Le carte, improvvisamente mescolate, cambiano il gioco, lo sguardo segue una pluralità di personagge, il discorso filmico che aveva un prologo e un epilogo, rimane aperto nel finale. Anche dove c'è una soluzione del film qualcosa sfugge alla parola fine. Forse non è neppure un caso che il finale di "Ragazze in uniforme" sia stato così contrastato. Per gli USA il film, a cui furono tolte 17 scene troppo esplicite sul lesbismo, finì obbligatoriamente benedetto dal sacrificio della protagonista che si suicida. Invece nella versione originale tedesca la ragazza si salva perché le compagne l'afferrano mentre sta per buttarsi giù dalle scale. Anche inL'altra faccia dell'amore il finale del suicidio è ambiguo perché contemporaneamente sentiamo il tonfo del corpo della ragazza e vediamo il falchetto, che lei cura, alzarsi in volo. C'è una morte che è anche rinascita nella libertà del volo. E' difficile dare a questi film la parola fine proprio perché la comunità si muove sul tracciato del divenire, non si identifica esattamente con le sue partecipanti essendo, allo stesso tempo, costruita dai loro corpi, definita dai loro nomi e organizzata dalle loro azioni. Diversamente dalla tipica comunità maschile, per esempio l'esercito, quella femminile non ha linee tracciate sulla perennità, come in quello spazio geograficamente delimitato che è uno stato. Essa esiste perché c'è chi se ne fa partecipe.


Le comunità femminili sono una forza straordinaria, eppure assai poco le registe le hanno raccontate, per rincorrere invece figure di protagoniste isolate, ritenute utili ad analizzare la soggettività femminile. La verità è, però, che noi siamo fatte delle nostre relazioni, fino dall'infanzia. Lo esprime bene Beatriz Preciado quando dice:
<<Io posso essere al massimo una rete di relazioni. Ecco, Beatriz Preciado è questo: un'enorme rete di relazioni e di affetti che serve ad altri per continuare a resistere, a vivere, una rete che oserei dire infinita... >> (intervista a Beatriz Preciado di Rachele Borghi sul sito di IAPH- Italia)

 

Milli Toja racconta la comunità femminile perché è da quarantanni la sua esperienza politica ma anche di vita oltre che di creazione artistica. E' a questa società da cui attinge ispirazione, personaggi e infine le stesse protagoniste dei suoi film affiancate da altre donne che creano la musica, come Paola Molgora, le scenografie, i costumi, le coreografie, che sanno organizzare il thè per tutte, pasti e posti letto. Lei è una videomaker, le sue produzioni nascono dal bisogno di creare, inventare e di esprimersi mescolando anche molte abilità, come il montaggio, la presa in diretta del suono, la fotografia, le luci, quindi la scelta delle location, i costumi e il casting.


In "Le pietre degli inganni" i punti centrali sono la psicoanalisi e l'amore. La psicoanalista è Rossella, interpretata dalla stessa Milli, potrebbe considerarsi il personaggio principale, è infatti probabilmente quella che ha più minuti di presenza sulla scena. Due pazienti riescono a trovarla fra le montagne dove sta condividendo con Luisa, un'amica, l'esperienza della comunità femminile, guidata temporaneamente da Lia, sostituta della Madre, allontanatasi con Roberta per alcuni mesi. Rossella, aiutata da Luisa, si ritrova a fare l'analisi alle due vecchie pazienti, in crisi di astinenza e a Lia che è continuamente in preda dello sconforto e di forti crisi di gelosia, ama la Madre e non sopporta che se ne sia andata via con un'altra. A questo gruppetto di analizzate si associa anche Giada che si dichiara turbata. Ama segretamente Sara, chiaramente non corrisposta le ha svelato, illudendosi di lanciarle un messaggio d'amore, dove sono nascoste le pietre. Utile conoscenza questa per la ragazza che vorrebbe tenersi legato uno strano giovanotto che gira per i boschi, colpito apparentemente da lei, in realtà inviato dagli uomini della montagna per sottrarre le pietre. Ma la comunità reagirà e anche Sara si rivelerà meno scema di quello che pensavamo. La psicoanalisi è così chiamata a dirimere questioni vitali sia per la comunità che per le singole che stanno attraversando i loro drammi.


Milli Toja è una donna spiritosa e molto ironica ma ha uno sguardo inflessibile sulla realtà, ce ne accorgiamo quando rivela in una scena con Lia che cos'è l'essenza dell'amore. Questa rivelazione avviene non tanto, come succede con le sue pazienti, quando le saltano i nervi, ma quando seriamente dice a Lia: i rapporti fra le persone a volte sono orribili e non ci si può fare nulla. Per consolarla le aveva ricordato il verso dantesco “Amor ch'a nullo amato amar perdona” spingendola a dare amore, perché questa offerta è ripagata dall'altra o dall'altro che poi ti ama. Ma in realtà non ci crede ed è invece convinta che ci siano amori che per tutta la vita continuano a avere un'unica direzione, senza essere mai ricambiati.


La trama si sofferma sulla vita della comunità femminile e ci fa riflettere. Ci accorgiamo che ci sono due mondi che si incontrano, c'è la comunità delle seguaci del culto delle pietre, Giada, Sara, Cinzia, Emilia, Elena, Giuliana e Lia e ci sono le esterne come Rossella, Luisa, Bice e le pazienti, Viola e Nora. Con una grazia che nessuno saprebbe trattare meglio, la regista confonde i due mondi, implementa l'arcaico sulla contemporaneità, arrivando poco prima della metà del film a una scena fondamentale. Quando le pazienti, Viola e Nora con Bice raggiungono finalmente la comunità c'è un cambio di musica. Le guerriere che sorvegliano il bosco, dopo averle avvistate, le stanno scortando alla casa di Lia che ospita Luisa e Rossella. La macchina da presa è distante e, come se spiasse da lontano, su un campo lungo riprende le pazienti, Bice e le guerriere che incontrano Lia sulla porta della casa. Lei si infila sulle spalle il mantello per accompagnare le nuove da Rossella. Quella piccola figura di donna, con una brava attrice, Patrizia Spadaro, a sostenerne la parte, è riuscita in pochi secondi a comunicarci il senso più profondo del film e - sotto il divertimento che subito ci reintegra perché Rossella nel vedere le pazienti che l'hanno raggiunta crolla a terra svenuta - sentiamo la commozione che affonda nell'idea stessa della comunità femminile. Dentro all'invenzione di un mondo di donne che abbiamo l'impressione esista veramente da qualche parte nel tempo che abbiamo abitato, fra i secoli, il gesto di Lia è la rappresentazione della sofferenza prodotta dall'amore, mescolato al dovere e alla spiritualità. Nell'inconscio queste figure femminili, scolorite nella memoria, centralizzano, in realtà, una parte notevole delle nostre emozioni, sospingendo la differenza femminile a farsi avanti lungo un tracciato che non è solo prodotto del presente, sentiamo la presenza di quelle che ci hanno predestinate a essere chi siamo diventate. C'è altro però. Oltre a questa emozione che il pensiero del tempo della storia femminile quasi sempre ci comunica, oltre all'inconscio rappresentato come un mondo popolato da figure femminili che vivono ai margini del bosco, minacciate nella loro potenza da uomini che bramano impadronirsi dei loro simboli di potenza, oltre alla poetica che esprimono gli scambi femminili, la comunità fa agire anche il piano di realtà che si scontra contro le pretese, per quanto liberatorie, di fare esistere noi stesse, come vogliamo essere, imponendo al mondo i nostri desideri. Giada che, nella comunità femminile, è la guardiana delle pietre non conta assolutamente niente per Sara che, per quanto la consideri, sentirà battere il suo cuore verso chi ha meriti decisamente più utili, contabili e meno simbolici. La comunità femminile nasconde e protegge ma allo stesso tempo rivela, a volte, la sua verità di essere un mondo di ombre, creature dell'immaginario, espressioni del desiderio, che svaniscono quando la realizzabilità delle cose chiede di avere la sua dimensione più concreta.


L'idea della comunità femminile arriva come una sferzata di vento perché mette in scena la forza della presenza femminile collettiva, quella che agisce attraverso la capacità politica delle donne, oltre le istituzioni e il modo maschile di fare politica. E' questa che continua a essere più difficile da accettare, riconoscere ed enunciare anche da noi. Ne sono la prova i documentari recenti, che sono stati fatti sul movimento delle donne, stranamente encomiastici verso le pratiche, il pensiero delle donne, le invenzioni politiche di ambienti anche di lavoro ma che non sono riusciti a esprimere la presenza delle comunità femminili, quelle che abbiamo costruito che sono esistite e ancora esistono e che sono le uniche per cui molte praticano il separatismo, fanno tranquillamente a meno della politica maschile e hanno a disposizione una serenità verso l'esistenza che nasce dall'indipendenza simbolica, dalla realizzazione di microforme di società, da un'autonomia alternativa agli uomini, che non li esclude, senza per questo averne la necessità.


Il film di Milli Toja e di tutte noi che ne abbiamo fatto parte cerca di fare parlare tutte queste ragioni, di non frustrarne la rappresentazione ma di restaurarne la possibilità di parola, di riflessione e di comunicazione con il cinema.

Le pietre del sapere di Milli Toja, Italia (2006)

di Donatella Massara

Sono molto grata a Milli Toya che attraverso i film alla 'sua' maniera racconta la nostra storia, quella delle femministe in Italia in questi anni. Nei film precedenti ho visto soprattutto le relazioni femminili indagate attraverso la rivoluzione paradossale dell'umorismo e dell'ironia, riguardate attraverso l'analisi di inattese paranoie e di aspettative ansiolitiche. In questo nuovo film il racconto sconfina decisamente nel terreno dell'invenzione fantastica. Le relazioni singolari, la dinamica del conflitto e delle affinità elettive, sono lasciate al privato. E' invece a tema la politica sottoposta a una domanda epocale. C'è una specie di restaurazione di una comunità quasi medievale tutta femminile con leggi e principi e a una Madre è consegnato il potere conferitole dalla conoscenza e dall'uso di pietre misteriose. E' qui dove due pellegrine stranite vanno a incappare. Sono la solita Laura (Silvana Strocco) self-confident, pretenziosa e astuta in compagnia della stessa Milli alias Rossella, la solita fifona, rivendicativa e quasi sempre di malumore.

Lo stile del film è quello di sempre: guarda e racconta senza sovrastare chi assiste allo spettacolo. Può sembrare poco più di un gioco fra amiche. Un clima di allegra brigata è accentuato dalla famigliarità dei personaggi, dalla recitazione più teatrale che cinematografica, utile però a non distrarre e a riportare a tema, a discutere. Nonostante questo abbiamo a che fare con una macchina da presa che secondo i canoni non si vede. Solo un accenno di sguardo in macchina della madre nella scena, madre anche lei, fa mostra di una cinepresa presente, considerata, punto attivo della costruzione e non puro meccanismo tecnico. E' qui dove il film svela la sua intenzione discorsiva: nel duetto-disputa fra la Madre e la più Milli che Rossella, in questo caso, che discutono sulla politica delle donne. Quindi il film non ha alcunché di sperimentale eppure la mia mania per la storia del cinema mi spinge a collocare Milli e le sue compagne nella scia molto femminile delle autrici indipendenti che hanno dato moltissimo al cinema e alla sua storia, penso alla prima in assoluto la Alice Guy Blachè, ma poi a un'altra pioniera, chiamata addirittura 'la madre di tutte noi' la fondatrice del cinema indipendente americano, Maya Deren, oppure a una protagonista della nascita del Free cinema inglese, l'italiana Lorenza Mazzetti o nel filone del cinema gay a Barbara Hammer una delle prime documentariste della storia lesbica. In realtà anche il cinema di Milli è frutto di tantissimo lavoro. Il bellissimo finale che non svelo prosegue significativamente nei titoli di coda, e va inteso. Perché ci mette di fronte al grande lavoro del film. Vediamo il coinvolgimento di tante donne che lavorano dentro e fuori la scena con passione e convinzione, la complessità del lavoro di regia e l'acquisizione di competenze che svolge Milli sia per il montaggio che per le scelte di messa in scena, la individuazione delle locations che sono questa volta molto differenziate anche se apparentemente omogenee.


Il film gioca per tutta la durata a convogliare verso la sua meta ottimale la risoluzione dell'enigma che è allo stesso tempo un puro meccanismo narrativo insito nel giallo e anche e di più il dilemma politico sul potere femminile, chiedendosi, attraverso la sempre meno stupita Rossella e le altre donne della comunità, se c'è un lascito del femminismo, chi e come saprà usare le pietre, in altre parole queste sono l'intuizione fondante che ha avviato ognuna verso scelte inattese e che forse alla nostra nascita, erano in parte previste, perché già nostra madre ne è stata la componente attiva. Il film domanda in un clima di assoluta leggerezza, e ci specchiamo in una folgorante scena erotica lesbica, quanto siamo ciò che siamo e se è possibile possa esserci complotto, odio o insulsa indifferenza (la sottrazione delle pietre) fra le donne come nell'autorità materna, politica nonché simbolica. Le protagoniste sono tutte donne in carne e ossa perché questo è il passo che compie un'opera cinematografica gettando la comunicazione sul versante delle immagini. Le donne non ne sono ancora così abituate, perché se l'immaginario è una parte di noi e del nostro benessere è anche il primato della parola e dell'astrazione che ha vinto in questi anni per mettere a tema la politica. La sfida del film è la pretesa di riparlare del movimento delle donne e del potere fra donne e se c'è e di chi è lo sguardo che desidera ci sia.

L'alito del drago di Milli Toja, La.Ci.Do., (2003)

di Donatella Massara

 

con un'appendice POLITICA DELLE DONNE e L'alito del drago

Le pietre degli inganni (2011)

La forza delle relazioni femminili nel nuovo film di Milli Toja

Scritto da Serena Fuart

Forse questo film non piacerà alle benpensanti però - oltre che alle molte donne e uomini presenti alla proiezione - alle giovani e ai giovani dovrebbe divertire; lo proietterei nelle scuole per intavolare una lezione sul femminismo. Il femminismo che, di solito si aggira fra le/gli adolescenti, è quello manifestante recepito come una maledizione delle donne lanciata contro il sesso maschile. Scherzando oltre che prendendosi alla lettera definendo allo stesso tempo il pensiero femminile più sostanziale, il film racconta quello che le donne vedono, stando nel mondo, come politica. Perchè sappiamo che è difficile raccontare la politica delle donne, raccontare senza fare presa diretta, documentazione.


E' la mediazione il grande lavoro e merito di questo film, quasi una favola, senza contesto che non sia quello strettamente ritagliato intorno alle relazioni femminili. E' infatti capace di parlare anche a chi non sa i difficili linguaggi della teoria femminile; divertente, svelto con una suspense concreta e che non si prende affatto sul serio, caratteristica che accomuna tutte e tutti gli/le interpreti, facendo ridere riesce a mettere in scena il mondo delle donne, la politica, il senso della differenza.


E' meritatamente ideologico e oggi mi sembra un vanto più che un demerito; dice solo ed esclusivamente quello che la regista e un folto gruppo di amici e amiche avevano voglia di dire, come sempre nella produzione del gruppo di Torino mescolando gags, teatro, il personale e l' invenzione fantastica.


L'alito del drago è il nuovo film di Milli Toja, proiettato il 15 aprile al Cinema Massimo di Torino in prima visione. Una grandiosa partecipazione di pubblico femminile e maschile, di tendenza, due proiezioni nella sala affittata per una serata, è stato un successo. Ma quello che conta, come hanno detto quelle dell'Associazione Lucrezia Marinelli, anche se preferiscono altri generi di distribuzione, Nilde Vinci: è che questo film di Milli fa discutere e ha aggiunto Laura Modini, va tutto bene: tempi, fotografia, scenografia. Se qualcuna desidera la videocassetta del film è in vendita: rivolgersi direttamente alle autrici scrivendo o telefonando, costa 15 euro (e-mail

milli.toja@fastwebnet.it).

La.Ci.Do. e Milli Toja si sono misurate, ancora una volta con il cinema, genere artistico che di solito si affronta solo con un grosso budget devoluto attraverso i finanziamenti statali della commissione cinema per film definiti di valore culturale, falso se come si può vedere su Internet ha distribuito centinaia di milioni per film il cui titolo è già uno scarto.
Ma Milli Toja non ha bisogno dei finanziamenti pubblici le sono bastate amiche e inventiva per fare un film << collettivo>>.

Il gruppo di donne e uomini spesi in molteplici attività e competenze hanno costruito il film. Ci sono le attrici già viste nelle altre produzioni, come Rosalia Capasso, Gabriella Montone, Silvana Strocco e altre; note alla cinematografia femminile sono le tecniche della ripresa come le registe Tiziana Pellerano e Cristina Vuolo. Al centro di tutta l'impresa mettiamo pure quello che conta veramente: l'amicizia, le relazioni capaci, come sostegno, oltre alla passione del La.Ci.Do. e ai loro propri investimenti.

 

Il film è un giallo femminista. "L'alito del drago" lascia nello spazio interiore la sensazione di essere energetico e positivo fino a regalarci il finale nel campeggio femminile di Terra di lei, ai confini di Orvieto, in una notte di mezza estate. E anche Rossella, la protagonista, interprete Milli Toja è spiazzante; non sappiamo se prendere sul serio la femminista che sogna di sottrarre la dirimpettaia alle angherie del marito, come in La finestra sul cortile di Hitchcock e, arrivate al finale, pensare che sia una presa in giro dei nostri cinquantenni compagni di strada oltre che delle idee di qualcuna ancora attardata a fare la solidarietà femminile come si faceva, c'è chi dice negli anni '70. Continua per tutto il film l'effetto spiazzante e imbarazzante perché non sempre sappiamo se sulla scena siamo rappresentate noi o forse solo le ragazze di Torino che si raccontano, facendo ancora una volta autocoscienza, fino a che in alcuni momenti siamo sollevate dall'incarico di mettere giudizio e ci sembra di essere veramente al cinema.


Questa mescolanza di verità e finzione coglie la contraddizione di oggi fra le donne e la politica quando vorrebbe stare presso di sé e allargarsi, nello stesso tempo, verso altre, facendosi valere contro le sventure delle altre e perché no di tutto il mondo; beate quelle che la risolvono. E beate quelle che hanno creduto in sé e che promovendosi hanno creato comunità. C'è chi non è ancora ben sicura di avere messo i piedi per terra. Il film, allora, autorizza tutte a 'fare' per esprimere sé e le altre; c'è il sospetto che la La.Ci.Do. sia una maestra di cinema.

 


Appendice


Politica delle donne è un concetto non sempre chiaro.


Sono state le donne dei primi gruppi femministi che hanno iniziato a usare questo concetto, a quello che ne so non rintracciabile nei primi testi di politica femminista e suffragista nel XVIII e XIX secolo. Politica delle donne è stata invece una definizione di pratica che le donne hanno cominciato a usare in Francia e in Italia nei gruppi italiani DEMAU e "Rivolta femminile" e in quello francese di "Psichoanalyse et politique". Questa politica ha avuto varie forme. Nei primi gruppi degli anni '70 è stata praticata l'autocoscienza, la pratica dell'inconscio, la pratica dei luoghi delle donne fino alla attuale definizione della politica delle donne come pratica delle relazioni. La discriminante è evidentemente con la politica delle commissioni femminili di partito di movimento politico come con la politica delle pari opportunità.


La politica delle donne ha come primo obiettivo la lingua, la comunicazione di immagini e parole per raccontarsi. Il racconto della cosidetta politica prima è rivolto a quello che succede nelle relazioni, nei luoghi delle donne, nei progetti comuni. Ci sono diverse forme comunicative e anche intenzioni per dire questa politica. Ci sono saggi, come Non credere di avere dei diritti della Libreria delle donne, ci sono articoli, c'è questo sito e altro ancora. Poi ci sono i racconti.
I film di Milli Toja e del La.Ci.Do. assomigliano ai racconti di Bibi Tomasi, una grandissima narratrice.

 

Anche nel film come nei racconti di Bibi bisogna prestare attenzione a quello che succede in conversazioni apparentemente innocue e dilettevoli, dove però una tensione segnala che qualcosa è in conflitto, forse un'apertura verso chi è fuori del gruppo, forse l'aspirazione alla comune pace che passa attraverso l'affermazione di un di più della storia di ognuna e di ognuno affatto accomunabile. In "L'alito del drago" si vede tutto questo, nella scena della cena delle amiche e degli amici, come nella scena finale, ci sono scambi di posizione nell'ordine del collettivo, nel film risolte brillantemente. Assistiamo a affermazioni individuali che - rientrate armonicamente dopo il conflitto - potrebbero improvvisamente ricominciare, senza fissità però, avendo guadagnato una posizione superiore e elaborata con gli altri. Come già mi era capitato di dire i film di La.Ci.Do. sono 'generazionali', parlano uniformemente di una generazione, la mia e a volte di una successiva. In questo caso c'è un'ampia presenza di donne più giovani delle protagoniste, per arrivare al finale dove solo a una iniziata spontanea, quindi senza iniziazione, Rossella, è visibile la Dea Madre, figura d'attrice 'una bellissima anziana' ben conosciuta ad alcune, quindi non casuale. Non sta a me svelarla. Dico però che questa visione la dice lunga guardando lo spostamento sul piano del simbolico. Non tutte la vedono per quello che è, una dea materna invece che una donna qualsiasi.

L’affascinante intreccio delle relazioni tra donne, la loro forza e quanto questa forza possa avere la meglio sulle false lusinghe da parte degli uomini. Rapporti e logiche di potere maschili messi a nudo in tutta la loro fragilità nonostante la leggendaria solidarietà maschile.

Questi i temi che mi hanno maggiormente colpita nel nuovo film di Milli Toja Le pietre degli inganni.

La trama fa riferimento a due precedenti produzioni della regista che hanno come centro della scena una comunità di donne che si affidano a una madre autorevole in possesso di pietre magiche dotate di grandi poteri. Grandi antagonisti gli uomini della montagna che, spinti dalla brama di potere, cercano con ogni mezzo di impossessarsi delle pietre.

In questo film ospiti della comunità sono due donne, in relazione con le guerriere, Rossella e Lia.

La saga di Rossella, psicoanalista in fuga dalle sue pazienti, è un elemento di grande comicità che si frapponendosi ai momenti di vera suspence. Gli uomini della montagna infatti sono in agguato e uno di loro cercherà di sedurre Sara, una giovane guerriera della comunità, per scoprire dove sono le pietre, usando quindi come escamotage la fragilità della ragazza innamorata.

Intanto Rossella venuta tra le guerriere per rilassarsi sarà intercettata dalle sue pazienti abbandonate e raggiunta da queste nello sperduto luogo montano dove risiede la comunità. Si troverà suo malgrado a dover far loro terapia e inoltre, visto che si è sparsa la voce del suo lavoro, dovrà gestire gli intrecci sentimentali anche delle guerriere, in particolare di Lia, segretamente innamorata della Madre e rosa dalla gelosia perché questa si trova in viaggio in Francia con un’altra guerriera e non con lei.

L’amica di Rossella che per l’occasione si improvviserà pure lei psiconalista e dovrà occuparsi di un altro innamoramento, quello di Giada, guardiana delle pietre, segretamente innamorata della bella Sara. Amori, passioni, inganno, quindi. La trama è avvincente. La recitazione ottima e genuina.

Molto importante però il messaggio trasmesso ovvero la bellezza e la complessità delle relazioni femminili, la forza di queste che, alla fine, sarà più forte e avrà la meglio sulla cosi detta solidarietà maschile. E’ detto comune infatti che le donne sono rivali tra loro, non c’è appoggio reciproco mentre gli uomini tra loro si danno man forte a vicenda. La questione è molto più complessa in realtà, il luogo comune è tanto per tranquillizzare la psicologia maschile perché i rapporti tra donne sono molto potenti e il film le rappresenta. Nella pellicola questa forza costituirà infatti la salvezza della comunità e lo sventrarsi invece dell’alleanza maschile da prima forte e solida poi rosa dai giochi di potere.

Seguo con passione i film di Milli Toja, una regista che parla delle donne. Il suo è uno sguardo delicato non intrusivo sulla variegata bellezza dell’universo femminile. I suoi film affrontano tematiche importanti come tematiche più leggere. Non manca mai comunque allegria e buon umore.

Le pietre degli inganni di Milli Toja

Scritto da Maria Luisa Iori

Con una fotografia nitida, dai colori naturali di un paesaggio di mezza montagna all’ inizio dell’estate sempre inquadrato con amore, il film narra le relazioni tra donne diverse come età, carattere, cultura, predilezioni o scelte sessuali (etero e omosessuali che siano), fra loro legate comunque da una istintiva profonda sintonia psicologica. Si tratta di una laica comunità femminile attuale, ma misteriosamente “gotica” come le atmosfere di certi racconti di ambientazione medievale. La minaccia esterna è rappresentata dall’altra comunità della montagna, quella degli uomini. Gli eventi della storia consistono dunque nel gioco delle interazioni soprattutto nel gruppo delle donne, che si estende quasi subito ad alcune amiche esterne che vengono ospitate, ma anche in quello degli uomini, alla cui “consorteria”, quale contemporaneo e parallelo cambiamento, si aggiunge un nuovo adepto.

 

Tuttavia, come indica il titolo, viene dato un movente alla dinamica del rapporto fra la comunità femminile e quella maschile, situata nei pressi della prima: il contrastato possesso di pietre portentose, che in quanto tali simboleggiano il potere . Le scene si svolgono sia nei luoghi aperti (tutti soltanto naturali, nel verde erboso o boscoso) sia negli interni rustici, resi modernamente efficienti, ma connotati all’antica (per esempio appare insistentemente lo sfondo di un camino in pietra e di armi medievali) come i costumi a tonaca dei membri delle comunità di tipo monastico sia femminili sia maschili. Il tempo narrato sembra avere la durata di pochi giorni.

 

Le conversazioni nella casa delle donne si svolgono sul tema delle reciproche confessioni sentimentali, anche perché predomina nella loro comunità il personaggio di una psicanalista in cerca di tranquillità, tuttavia inseguita suo malgrado da due sue pazienti in crisi di astinenza per la sospensione delle sedute terapeutiche. La stessa è per di più perseguitata come professionista psicologa dalle amiche più fragili del gruppo in cerca di consigli e conforti, impossibili da dare dall’esterno perfino da parte di chi è definito esperto delle emozioni e dei sentimenti. L’ironia di questa situazione fa esplodere quella comicità, che stilisticamente è lo sguardo, sottile e di fondo, coerente, di tutto il film. Il punto di vista complessivo è la demistificazione della schiavitù delle passioni e l’affermazione esemplificata di come l’amicizia tra donne possa essere il migliore antidoto contro quest’ultima o il più efficace mezzo per liberarsene.

 

Anche nelle parole usate dalla stessa Milli Toja per riassumere il suo film se ne comprende l’intenzione comunicativa:

 

Il film è il terzo di una saga iniziata con "Le pietre del sapere" e continuata con "L’ordine delle stelle", che narra le vicissitudini di una comunità femminile con una Madre molto potente che governa con l’aiuto di misteriose pietre magiche. In questo film, la Madre si allontana dal monastero e le donne lasciate, in qualche modo in balia di loro stesse, devono riorganizzare i rapporti tra loro e difendersi dagli attacchi degli uomini della montagna, una comunità solo maschile, che tentano di impadronirsi delle pietre. L’amore e i desideri, repressi da tempo, esplodono e per tenerli a bada alcune donne tentano la strada della psicanalisi, attraverso l’aiuto della riluttante Rossella, psicanalista, ospite della comunità, in fuga dalle sue pazienti. Anche gli uomini della montagna sono travolti dalle loro passioni e incapaci di stabilire un rapporto credibile tra loro. Tutto troverà la sua ragione nel finale, anche se molte strade resteranno aperte e inesplorate.


Ne "Le pietre degli inganni"  il linguaggio visivo, attraverso un sapiente uso del montaggio, esprime commenti spiritosi (per esempio l'immagine del cane che dorme o si stira nella cuccia alternata alle sedute di psicoanalisi) o descrive gli stati d'animo (per esempio l'alternanza essenziale, mai retorica,dei primi piani durante gli incontri collettivi o i colloqui). Inoltre la narrazione scorre coesa e coerente. Realistici, spontanei e spiritosi i dialoghi. Una concretezza che osserva la vita e il mondo attraverso la lente di una ironia spregiudicata, però mai crudele, perchè sempre accompagnata da pietas. Questa qualità del modo di sentire e affrontare la vita è sottolineata dalla colonna sonora che accompagna le varie scene: sono le originali melodie e parole delle canzoni di Paola Molgora (dal disco "Train to Loveland") che inducono e aiutano le spettatrici a guardarsi dentro anche oltre la visione di questo film, ma dolcemente, comprendendo se stesse e le altre.

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